Oggi è un giorno particolare in Islanda, un giorno in cui solo le donne scioperano per le donne.
Infatti in tutto lo Stato le donne si stanno astenendo dall’espletare tutto, ma proprio tutto, sia i lavori tradizionalmente riconosciuti e quindi retribuiti che quelli che normalmente fanno in casa.
Questa manifestazione serve ad attirare l’attenzione, tra l’altro in uno dei pochi Paesi avanzati proprio sul riconoscimento dei diritti, proprio per chiedere l’eliminazione delle discriminazioni di genere e della disparità salariale.
Oggi quindi stanno incrociando le braccia in decine di migliaia tra donne e persone non binarie dell’isola che hanno smesso di lavorare in occasione del primo sciopero di questo tipo in quasi mezzo secolo, unite dallo slogan “Kallarðu þetta jafnrétti?” (Tu chiami questa uguaglianza?). Tra loro c’è anche la premier, Katrín Jakobsdóttir, che ha deciso di aderire all’iniziativa.
Per trovare qualcosa di simile bisogna tornare al 1975, quando il 90% delle donne islandesi si rifiutò di lavorare come parte del “kvennafrí” (giorno libero delle donne), dando vita a un movimento che è sfociato addirittura dell’elezione della prima donna presidente di un Paese al mondo.
Dopo quasi cinquanta anni, ancora molte delle richieste fatte nel 1975 sono rimaste senza risposta e così la reiterazione della protesta.
Anche se, rispetto al nostro Paese l’Islanda pare essere molto avanti, comunque esiste un divario salariale calcolato nel 21% e un 40% di donne che subiscono violenza sessuale o di genere nel corso della loro vita.