Immaginate di guardare la terra dallo spazio e di scoprire un triangolo bianco enorme. Si tratta di un triangolo, in verità dai contorni irregolari, di plastica grande all’incirca 44 mila ettari.
Questa placca opalescente è nata nei primissimi anni 80 del secolo scorso e non ha mai smesso di crescere e si trova sulla costa del mar Mediterraneo, a qualche decina di chilometri dalla città spagnola di Almeria.
Si tratta di una serie sterminata di serre per la coltivazione di ortaggi, la più grande concentrazione di serre al mondo dopo la Cina. Si estende, come già detto per oltre 44 mila ettari e sotto a questi teli di polietilene si producono quantità enormi di ortaggi: frutta e verdura coltivati soprattutto per soddisfare la richiesta dei mercati europei.
La peculiarità che dovrebbe far riflettere è che quella zona, tradizionalmente arida e dal suolo argilloso, quindi povero di nutrienti e poco adatto alla coltivazione data la sua impermeabilità, nonostante fosse praticamente non idoneo per lo scopo, venne eletto a prescelto da Francisco Franco, il generalissimo, il dittatore salito al potere dopo un colpo di stato. Francisco Franco, monarchico, fascista, controrivoluzionario, aveva il pallino dell’autarchia, proprio come altri due suoi colleghi e compari Hitler e Mussolini e sognava la “sua” Spagna autosufficiente anche per le produzioni agro-alimentari. Istruì per questo un progetto: la realizzazione di un sistema di pozzi e canalizzazioni per la distribuzione dell’acqua, dando inizio alla riconversione di terreni dove la pastorizia e piccole coltivazioni erano da sempre di casa.
Così, all’inizio degli anni ‘50 i piccoli appezzamenti a coltivazione stagionale iniziarono ad essere riconvertiti. Già c’erano alcuni contadini che producevano uva da tavola anche se con scarso valore nel mercato. Ma grazie alle canalizzazioni di Francisco Franco ed ai miglioramenti agronomici dove i coltivatori aggiungevano strati di sabbia e terreno umico, la produzione di vegetali iniziò a crescere. C’era, comunque, sempre presente però il problema dell’escursione termica stagionale e dell’aria salmastrala che riduceva fortemente la produttività.
L’inizio degli anni ‘60 e l’avvento della plastica cambiò tutto. Con una spesa relativamente bassa si poteva coprire il terreno e proteggere le piante da vento aria salmastra e freddo. L’umidità interna aumentava creando un microclima ideale.
Ma grazie alle nuove tecnologie arrivate negli anni ‘80 si è assistito ad un aumento della resa annua delle colture, con l’introduzione del sistema a goccia o con la coltivazione idroponica.
Grazie a questa combinazione di fattori le serre di Almería hanno una produzione annua compresa tra 2,5 e 3,5 milioni di tonnellate di frutta e verdura. Quest’area geografica è oggi un importante centro di produzione agricola soprattutto per frutta e verdura non strettamente legata alla stagionalità. Fragole per gran parte dell’anno come lamponi, mirtilli ma pesche ed albicocche che prendono il via verso i mercati ortofrutticoli di tutta Europa.
I 44 mila ettari (tre volte il territorio occupato dalla megalopoli di Parigi) coperti con plastica o vetro attorno ad Almeria fanno parte degli 70 mila ettari distribuiti in tutta la Spagna, paese secondo solo alla Cina che ne vanta, si fa per dire, più di 82mila.
Ovviamente questo mare bianco non è innocuo ma ha ovviamente fortissime conseguenze anche sul clima globale. Si è misurato un effetto di raffreddamento localizzato, in quanto i tetti bianchi riflettono una notevole quantità di irraggiamento attraverso l’albedo, proprio come fanno i ghiacciai. Così alcuni ricercatori si sono messi al lavoro. Si tratta dei ricercatori dell’Università di Almería che hanno testato l’influenza delle coperture sulla riflettività, utilizzando sensori MODIS (Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer), uno spettrometro per immagini. E sulla base dei calcoli effettuati, è emerso che tra il 1983 e il 2006 l’albedo delle superfici di Almería è aumentato di circa il 10%. Di converso il calore riflesso verso nord ovest verrebbe rispedito al suolo nelle regioni sottostanti a quella porzione comportando un surriscaldamento diffuso. C’è poi, certamente, da considerare l’impermeabilizzazione di quella sterminata porzione di suolo e l’immissione nel terreno di pesticidi di varia natura che permettono ai vegetali di crescere “sani” e senza difetti in serra con il conseguente fenomeno della contaminazione delle falde. C’è poi la perdita delle bio-diversità e lo squilibrio di qualsivoglia ecosistema alterato dall’ambiente completamente artificiale ed inospitale.
Dulcis in fundo all’interno delle serre, le temperature superano i 45 gradi. In questi luoghi si lavora per oltre 12 ore al giorno. Molti lavoratori spagnoli nel corso degli ultimi decenni si sono allontanati dalle serre ritenendo insopportabili le loro condizioni del lavoro: caldo umido e costante contatto con verdura e frutta contaminata dai pesticidi. Così i proprietari delle serre, invece di cercare di trovare soluzioni che migliorassero le condizioni degli ambienti di lavoro, hanno iniziato ad assumere immigrati dell’Africa e dell’Europa dell’Est. Tra sfruttamento del lavoratore e del territorio c’è chi si arricchisce.
Il “Mar de Plastico”, come lo chiamano in Spagna, secondo i dati del governo dell’Andalusia,è arrivato a produrre circa 33.500 tonnellate di plastica. Anche se l’85% di quella plastica oggi viene riciclata, il restante 15% rimane nell’ambiente: quindi circa 5.000 tonnellate di plastica, diventano rifiuto e poi microplastiche sui fondali marini nel sud della Spagna e questo ogni anno.