Bottiglie, flaconi, contenitori, cassette, imballaggi, fogli e sacchetti: così siamo abituati ad immaginarci la plastica. Tutti sappiamo, poi, che è presente nei corsi d’acqua e quindi nei mari. Sempre più comune è poi la conoscenza dell’esistenza e dei problemi connessi al suo sfaldamento che genera microplastiche: parliamo di piccole particelle, appunto, di materiale plastico generalmente più piccole di un millimetro fino a livello micrometrico. Queste piccole e piccolissime parti di plastica si infiltrano nell’ambiente e negli alimenti ed entrano pericolosamente nell’ecosistema e quindi negli esseri viventi sia animali che piante e mettono a repentaglio la salute umana.

Come detto, le plastiche ma anche già le microplastiche sono trasportate dai fiumi e sversate nei mari ed ovviamente negli oceani.

Già a metà degli anni ‘90 si era riusciti ad individuare un ammasso di plastiche, soprattutto frantumate, frammiste a legname. Quest’isola, nata dalla capacità delle correnti marine di concentrare in un quel determinato quadrante il materiale galleggiante, è in continua evoluzione e è tendente alla crescita. Essendo un ammasso non solido, cambia forma e dimensione ed è quindi di difficile quantificazione: si stima infatti che abbia una estensione tra i 700mila km² ed i 10 milioni di km². Una landa sconfinata più grande dell’intera Spagna ma, se si prendessero per buone le dimensioni maggiori, sarebbe più grande dell’intero territorio degli USA.

Stiamo parlando di una superficie interessata da quest’isola tra lo 0,41% e il 5,6% dell’intera superficie dell’Oceano Pacifico. Questa, signori, è la “Pacific trash vortex”, nota anche come “The great Pacific garbage patch”. Insomma una “chiazza vorticosa di spazzatura del Pacifico”.

Alcune stime effettuate dalla Marina degli Stati Uniti hanno ipotizzato un peso complessivo di oltre tre milioni di tonnellate di plastica ma per altri organi ed enti l’ammontare complessivo potrebbe raggiungere i 100 milioni di tonnellate.

Come abbiamo già detto dell’articolo “Spagna: il Mar de Plastico cresce e cambia il clima”, anche nel Mediterraneo abbiamo problemi simili, ovviamente in proporzione. Infatti grazie all’inquinamento causato dalla plastica , a nord ovest dell’isola d’Elba, tra la punta della Corsica e Capraia, abbiamo la nostra isola di rifiuti di plastica. Questa è composta da frammenti più piccoli di 2 millimetri, insomma un ammasso due volte più denso e pericoloso di quello del Pacifico.

La nostra isola è, si fa per dire, fortunatamente molto più piccola, qualche decina di chilometri ma è anch’essa in crescita.

Quest’isola è alimentata principalmente da tre fiumi che sfociano nel Tirreno: l’Arno, il Tevere ed il Sarno.

In uno studio il Wwf (World Wide Fund) pubblica che nel Mar Mediterraneo siano “già presenti oltre 570 mila tonnellate di rifiuti plastici” ed ogni anno ne aggiungiamo tra le 150.000 e le 500.000 (tonnellate).

Ovviamente questa quantità di piccoli pezzetti di plastica impatta sulla vita di chi abita le acque: pesci, cetacei, tartarughe e uccelli muoiono a causa di questo inquinamento. Soprattutto causato dalla ingestione di questo particolato che può provocare occlusioni o perforamento dell’apparato digestivo. C’è poi da considerare che le plastiche spesso sono impregnate o comunque contengono sostanze inquinanti che quindi apportano elementi gravemente nocivi per gli ecosistemi.

Certamente l’assenza di corrette pratiche di smaltimento, riciclo e riuso sono alla base dei problemi di sversamento della plastica nell’ambiente e quindi nei corsi d’acqua ed in fine nel mare ma esistono anche cause accidentali non marginali come la caduta di interi gruppi di container dalle navi cargo durante le tempeste. Questo fenomeno ebbe un episodio memorabile nel 1990, quando dalla nave Hansa Carrier caddero in mare ben 80mila articoli, tra stivali e scarpe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati nelle spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii. Altri episodi significativi nel 1992 quando vennero dispersi in mare decine di migliaia di giocattoli da vasca da bagno, tra i quali soprattutto le paperelle di gomma. , mentre nel 1994 è stata la volta di attrezzature per hockey su ghiaccio. Questi eventi notevoli sono molto utili per determinare, da parte delle diverse istituzioni interessate, i flussi delle correnti oceaniche su scala globale.

Eventi catastrofici come terremoti, maremoti, tornado, spazzando le coste sottraggono materiali depositandoli in mare. In questi frangenti molta plastica finisce e resta in mare.

Esistono sempre più iniziative per sensibilizzare e tentare di limitare il problema della crescita di queste isole come ad esempio nel giugno 2020 è stata inaugurata Moby Litter, la balena di ferro che mangia alcuni metri cubi di rifiuti di plastica marini sul litorale anconetano ogni anno. Si tratta di una importante iniziativa educativa che coinvolge 14 istituti scolastici. Ma esiste anche il più impegnativo “The Ocean Cleanup” che è un progetto nato dall’idea di un giovane olandese, Boyan Slat, utilizzato per la Great Pacific Garbage Patch dove vengonoti eliminate centinaia di tonnellate di rifiuti dal Pacifico Settentrionale.

 E' ovvio che sono molte altre le iniziative per la pulizia o ripulitura di acque e spiagge ma il problema è certamente quello di evitare lo sversamento della plastica, in primis andandola ad eliminare e sostituendola con materiali meno impattanti e quando possibile degradabili e, quanto meno, riutilizzabili.

Foto: Di Hajj0 ms - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16040020