Certe riforme escono dalla finestra di Piazzale Loreto e rientrano dalla porta spalancata da questo Governo. Parliamo del Pacchetto Sicurezza voluto a tutti i costi dal ministro della Giustizia Carlo Nordio ancora non approvata ma in fase molto avanzata.

E’ nato in questo modo, così, un nuovo delitto: il reato di rivolta nelle carceri. Insomma una nuova fattispecie giuridica di “rivolta in sistema penitenziario”, pena da due ad otto anni di carcere.

Proprio così questo governo vorrebbe restaurare il regolamento fascista in vigore dal 1931 in barba ai principi costituzionali che oggi prevedono la rieducazione dei ristretti, questi, invece, costantemente sotto la minaccia di un estremo prolungamento della detenzione non avranno altra scelta che accettare le condizioni inumane, troppo spesso presenti negli istituti carcerari, anche peggiorando le capacità contrattuali della Polizia Penitenziaria che invece sembra gradire questa svolta autoritaria.

Se dovesse essere approvato, questo nuovo reato, alterando il già precario equilibrio vigente nelle carceri italiane, istituzionalizzerà il rigore e l’autoritarietà. Questi gli effetti nefasti del nuovo articolo 415-bis del codice penale e delle sue punizioni esemplari da due ad otto anni che colpirebbero “Chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi da tre o più persone riunite, promuove, organizza, dirige una rivolta”.

Se invece gli atti fossero commessi da una sola persona reclusa verso un agente di Polizia penitenziaria grazie al nuovo dettato di questo articolo sarebbero parificati alla resistenza passiva e alla tentata evasione.

Giusto per fare un esempio, tre o quattro compagni di cella, rifiutano di obbedire all’ordine di un custode, anche con modalità passiva e non violenta, scatterebbe la denuncia per rivolta. Risultato? Se un di quei tre detenuti fosse entrato per scontare pochi mesi, potrebbe uscire dopo quasi dieci anni. Così forse si capisce la portata di questa norma anche perché questa fattispecie, la rivolta, viene parificata a reati gravissimi come mafia e terrorismo, non ammettendo ai benefici di legge i condannati.

Siamo davanti ad una riforma che stravolge il compito del sistema carcerario da rieducativo a strettamente repressivo e punitivo trasformando il recluso in animale addomesticato e docile avvezzo all’obbedienza ma senza calcolare sia il lato umano devastante che quello psicologico e psichiatrico della trasformazione di questi automi in macchine potenzialmente esplosive sia dentro che, soprattutto, una volta fuori dalle carceri. La frustrazione, la violenza subita sia fisica che psicologica lascerebbero danni permanenti in molti di coloro che potrebbero poi costituire anche un serio problema sociale. Proprio l’opposto del dettato costituzionale che mira al miglioramento del ristretto per facilitarne l’inserimento in società una volta scontata la pena.

Alle stesse norme si dovranno adeguare anche i migranti reclusi nei CPR, condannati senza aver commesso alcun reato, altra aberrazione.

Breve annotazione: una evidente rilettura del regolamento carcerario fascista del 1931 dove “i detenuti devono passeggiare in buon ordine e devono parlare a voce bassa”, oggi, se l’approvazione del nuovo articolo dovesse accadere non sarebbe difficile vedere i detenuti marciare in fila indiana, a testa bassa, in silenzio e ben distanziati, mettendo così in pratica nel 2023 il regolamento del 1931. Se poi qualche detenuto dovesse ravvisare nei propri confronti la commissione di qualsivoglia reato da parte degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, sarebbe facile contro denunciare il detenuto per rivolta soffocando per sempre una voce delle 58.000 che sovraffollato istituti che dovrebbero contenerne 43.000.

Nella speranza che la palese anticostituzionalità di questo provvedimento non ne permetta l’approvazione, si palesa chiaramente l’estremo tentativo di tener fede ad un punto della campagna elettorale speso dal sottosegretario Dalmastro delle Vedove nei confronti della Polizia Penitenziaria alla quale è più facile permettere tolleranza zero perché è a costo zero invece che assunzioni, acquisto di mezzi e tecnologie oltre che ammodernamento di strutture oramai risalenti al Paleolitico carcerario.