Lo si nota oramai in ogni angolo del pianeta ma soprattutto ci si fa caso quando accade negli USA: il capitalismo è in profonda crisi.
Ovviamente siamo portati a pensare che in America il socialismo sia considerato universalmente un male e che invece il capitalismo sia l’unica via. Siamo abituati a pensare* la terra dove tutto è possibile* come immune da difetti permanenti o da crisi sistemiche, i poveri non come un problema ma come *momentaneamente non ricchi* e non come gente sfruttata e messa ai margini, rifiuto del processo produttivo, proletariato moderno.
Ed invece il modello capitalistico è in profonda crisi. La crisi climatica ce lo ricorda, essendone figlia legittima.
Ma anche se si volesse ignorare questo elefante nella stanza, il capitalismo segna il passo ovunque e lascia una scia di vittime sempre più numerose, povertà, miseria, degrado, devastazione delle risorse.
E allora sempre più persone stanno pagando un prezzo inaccettabile e questo per permettere ad un numero sempre più ristretto di individui di accumulare enormi ricchezze. Risultato la rabbia sociale, la ribellione di alcuni, la rassegnazione dei più ed il devastante disinnamoramento verso la politica vista come mezzo al servizio del potere e non più dei cittadini.
La persistenza di questa condizione di miseria e la sua diffusione anche in ceti prima risparmiati, oltre all’assenza di prospettiva di riscatto, stanno portando il popolo americano a ricredersi delle proprie certezze ed a mettere in discussione il sistema come lo loro hanno conosciuto fin qui e come ci è stato venduto anche a noi.
Non che in America stia nascendo un movimento socialista o addirittura comunista, bensì, comincia a farsi strada un movimento anti-capitalistico, soprattutto nella classe media e tra chi ha avuto la possibilità di studiare e quindi comprende meglio quanto accade attorno a se.
In un recente articolo il Wall Street Journal ha dichiarato tramontata la fiducia nell’american dream. Il sogno del capitalismo come unica via per il benessere generale, dove la possibilità per tutti di avanzare grazie al proprio impegno e alle proprie capacità nel lavoro, a prescindere dal proprio background, e’ finito contro la dura realtà attuale in USA. Disoccupazione, sottoccupazione, paghe e salari da fame, sfruttamento selvaggio, senzatetto e diffusione massiccia di droghe, soprattutto di sintesi: questa la fotografia di tutte le sterminate periferie americane.
E allora si comprende come oggi solo il 36% degli americani ancora crede in quel sogno chiamato capitalismo contro il 53% del 2012 ed il 46 % del 2016, un trend innegabile. Il 50% degli intervistati ritiene che la vita in America sia peggiore di 50 anni fa e solo il 30% ritiene che sia migliore.
La crisi del capitalismo è certificata dalla risposta netta ad una domanda molto complessa: “crede che l’attuale sistema economico e politico sia contro di lei?”, neanche a dirlo, la risposta è stata “sì penso sia contro di me” per il 50% degli intervistati contro il 39% che si è detta non d’accordo.
Quelli più pessimisti si sono dichiarati i giovani e le donne, comprensibilmente, solo il 28% di questi ancora crede all’american dream.
L’Europa, fortemente influenzata dalle tendenze di oltreoceano, sicuramente accusa il colpo che inevitabilmente segna un cambiamento di prospettiva anche per il Vecchio Continente.
In America come in Europa la mobilità sociale diminuisce, evidenziando un persistente immobilismo sociale legato alle gravi disuguaglianze di reddito, i più colpiti sono i giovani e da sempre il genere femminile che infatti sono i più scontenti e pronti a dichiararlo.
Con l’avanzata della Cina e con il rafforzamento dell’economia del continente indiano, si fa sempre più seria la crisi egemonica degli Stati Uniti che si manifesta non solo economicamente, ma anche nel fallimento dell’idea che ognuno possa raggiungere la felicità attraverso i propri meriti.
Il problema non è aver fatto la diagnosi ma il trovarne la cura. Infatti se la necessità di una critica all’individualismo sottostante al sogno americano emerge, il risveglio collettivo sembra ancora lontano, con la propaganda politica che persiste nei miti individualistici, sia negli Stati Uniti che nelle altre democrazie liberali, Europa compresa.
Se è ovvio come il declino americano, porti con sé il disinnamoramento verso il capitalismo, lo è ancor di più guardando quanto accade in Cina, dove forme super liberiste sono state applicate al sistema comunista aggiungendo guasti prima non registrati in quello Stato come problemi di disuguaglianza e immobilismo sociale, indicando che le ingiustizie del capitalismo sono diffuse globalmente anche dove non ce lo si aspetta. La terza via social-democratica con una dose statalista importante sembra l’unica possibile soluzione per il raggiungimento di una certa giustizia sociale e per garantire pari opportunità ma anche per valorizzare i meriti e non il merito.
https://flickr.com/photos/22526649@N03/33211325466