Ogni tre giorni viene commesso un femminicidio, oramai questa conta la conosciamo tristemente fin troppo bene. Ma ce n’è un’altra di cui si parla sempre troppo poco: ogni cinque giorni si suicida un detenuto all’interno delle carceri italiane. E, che dire, ogni giorno muoiono sei migranti nel tentativo di raggiungere le coste italiane.

Certo, in un periodo storico come quello attuale dove i politici aizzano alla galera, alla forca la popolazione che già ha risentimento, odio represso, frustrazioni di vario genere ed è presa per il collo dalla povertà, questo discorso, questa conta scomoda, ha poco seguito, non porta voti ed anzi attira sarcasmo, critiche e disappunto.

Ed allora via libera, sdoganato il pensiero trogloditico: in carcere ci devono marcire questi detenuti ed assieme mettiamoci anche i migranti, tutti, compresi i bambini, rei di tentare di sfuggire alla miseria mortifera. E certamente in galera a pane ed acqua: ma non i corruttori, i concussori, i corrotti ed i corruttori ed assolutamente invece vanno beatificati gli evasori fiscali, loro sì che sono costretti da questo Stato canaglia ad evadere per sopravvivere, scappano dal “pizzo di Stato” come la Meloni definisce le tasse.

Insomma, in prigione, anche senza passare dal “Via!” del giusto processo, tutti coloro che commettono certi reati ma non altri. Una sorta di cherry picking giudiziario in cui ci si arroga il diritto a priori di dichiarare colpevoli o innocenti a seconda della “etnia”, tra certa gente, ironicamente, i migranti vengono sarcasticamente definiti “risorse” come a suo tempo Laura Boldrini li aveva chiamati per indicare la loro necessaria presenza nella nostra società.

Certamente in galera immigrati irregolari, soprattutto di colore e, certamente, se poveri. La povertà, il colore della pelle ed anche la provenienza sono colpe, almeno a sentire i nostri governanti, che sicuramente hanno ben ascoltato le pance e le budella degli italioti. Un esempio? Il reato universale tanto agognato e sbandierato dalla Meloni della GPA, la gestazione per altri o, come piace definirla ai nostri governanti, pratica dell’utero in affitto: reato gravissimo! …ma se commesso da un tizio di nome Elon Musk, multimiliardario, bianco e sovranista, allora non è un problema, lo si invita alche ad Atreju e si cerca di sfruttarne l’immagine a fini di consenso ed elettoralistici dimenticandoci che due sue figlie sono state ottenute attraverso la GPA.

Comunque, tornando al discorso suicidi in carcere, se si considera il numero di suicidi, oltre 70 in un anno, in proporzione alla popolazione carceraria (circa 56.700 detenuti), allora si comprende come il problema sia veramente grave. Chi si suicida in carcere lo fa, principalmente per assenza di prospettive: questo è il fallimento dei principi costituzionali della rieducazione.

Nella visione dei nostri governanti, il carcere viene visto come dispensa di libertà o di restrizione, parcheggio a breve, media o lunga sosta. Niente o pochissimo lavoro, niente o pochissimi progetti rieducativi e di istruzione o preparazione al dopo. Ed allora, paradossalmente, la paura della libertà è talmente forte da portare al suicidio.

Nessuno vuole contrapporre disgrazie a disgrazie, atti barbari alla disperazione ma almeno, alle donne vittima di femminicidio, viene associato un nome, un volto, una famiglia, una storia personale, si nutre compassione, mentre per le vittime dello Stato, perché i carcerati sono affidati allo Stato, sono tuttalpiù numeri, sterili numerazioni, elenchi senza nomi, senza volti, senza famiglie, senza storie personali, vite vissute bene o male, certamente in disparte, da dimenticare.

Una associazione, un sito web, ristretti.it, cerca di restituire, almeno in parte, la memoria di questi cittadini di serie B. E poi Antigone, un’altra associazione “per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, denuncia la situazione come oramai divenuta insostenibile. Ed allora leggiamo di Indira Rustich, 37 anni, suicidata a Trento il 10 dicembre, paradossalmente il giorno in cui vengono celebrati i diritti umani. Si è impiccata sotto la doccia. Doveva scontare poche settimane ancora di carcere e non ha retto alla paura del dopo, non essendovi stata preparata, ovviamente.

Ma la lista di nomi è lunghissima: Saidiki Oussama, Mortaza Fahradi e Cristian Mizzon sono tutti morti per propria mano nel carcere di Verona. Cristian sarebbe morto per overdose, in un carcere. Ma poi Sedhawi Ahmed, Oumar Dia, Davide Pessina, Italo Calvi, un signore sconosciuto moldavo, Rosario Curcio, Luis Fernando Villa Villalobos sono tutti morti suicidi nelle galere milanesi di San Vittore e Opera. Più a sud, nel carcere romano di Regina Coeli si sono tolti la vita Riccardo Bianchi, Denys Molchanov, Alessandro Di Gianbattista, oltre ad un cittadino libico di cui sconosciamo le generalità.

E poi ancora Ibrahim Ndiagne, Rodolfo Hilic, Davide Bartoli, G.Z., F.A., C.S. e F.L. (italiani), Damiano Cosimo Lombardo, Makrem Ben Rahal, O.M. e T.R. (marocchini), Erik Roberto Masala, Antonio Di Mario, Andrea Muraca, le donne Azzurra Campari, Graziana Orlaray e Susan John (tutte nella sezione femminile del carcere di Torino), Federico Gaibotti, Massimo Altieri, Angelo Libero, Alexandre Sante de Freitas, Alexandru Ianosi, Francesco Cufone, Bessem Degachi, Abdelilah Ait El Khadir, Luca Maiorano, Massimo Del Mas, Onofrio Pepe, Giacomo Maurizio Ieni, Mbengue Babacar, Liborio Zarba e Victor Pereshshako (nel giro di qualche giorno dopo un lungo sciopero della fame si sarebbero lasciati morire nel carcere di Augusta), Pino Carmelo, Gaetano Luongo, Filippo Giovanni Corrao, Angelo Frigeri, Uruci Xhafer, Aymes Dahech, Luca Di Teodoro, Michele Pellecchia, Fabio Romagnoli, Fabio Gloria, Moura Chaid e altri ancora le cui identità non sono certe e note. C’è poi la tristissima storia di Fakhri Marouane che si è dato fuoco nel carcere di Pescara lo scorso luglio. Era una delle vittime delle violenze brutali avvenute nel 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Aveva avuto il coraggio di testimoniare.

Ed allora, di chi è la colpa? Certamente delle politiche di gestione carceraria di questo governo, tutte volte al risparmio economico, quando, invece sarebbe necessaria una modernizzazione della vita carceraria aprendo al contributo esterno di volontari, associazioni, cooperative, scuole e università, regalando professionalità, istruzione, speranza a chi sta dietro alle sbarre. Ovviamente come si fa? Assumendo tanti giovani operatori, non volontari ma professionisti, che prendano per mano queste persone e le guidino fuori dal guado dei loro problemi e dei loro fallimenti.

Discorso ancora peggiore quello dei migranti: 153.000 sbarchi nel 2023, in Italia, oltre 2.100 i morti accertati. Ma molti, tanti, troppi quelli di cui non si sa nulla, nemmeno se siano vivi o morti in mare. Vivi senza valore e morti di terza serie, di loro non ci interessa niente. Veramente solo numeri crudi, senza diritto alla dignità, senza valore. Oggetto di scambio commerciale al margine di accordi per l’acquisto di gas o petrolio come nel “Piano Mattei”. Moderni schiavi: schiavi nei paesi di partenza per lavori tremendi, schiavi del sesso nelle carceri libiche, schiavi in Italia ed in Europa perché senza carte e permessi e quindi senza diritti. Lasciati affogare vietando alle navi delle ONG di andarli a salvare per evitare il famigerato “pull factor”, un fattore trainante che invoglierebbe a salire su un guscio di noce, mettersi in mare magari con dei figli in fasce, rischiando seriamente la vita, nella speranza dell’arrivo di una nave di una ONG.

Agli occhi spietati di questo Governo, invece lasciandoli affogare si hanno due fatti positivi: i migranti muoiono quindi non arrivano e scoraggerebbero quanti vorrebbero partire che, spaventati, non partirebbero. Cinici e bari, i nostri governanti, cinici è ovvio e bari perché non funziona così, loro lo sanno, i numeri degli sbarchi, con un +115,18%, rispetto all’anno prima, sono lì a ricordarglielo, ma loro barano e negano. Comunque, invece, chi è nelle condizioni di partire dalle coste libiche o magrebine non ha alternative migliori e anche la morte è vista come una fatalità non peggiore di quanto si sta cercando di lasciare. La disperazione e la speranza accecano.

Unica soluzione sarebbe la istituzione di corridoi umanitari stabili, sull’esempio di quelli organizzati, con le poche risorse loro disponibili, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Chiesa Evangelica italiana. Gestire i flussi di questi giovani, visto il generalizzato inverno demografico europeo, garantirebbe forza lavoro ed, inevitabilmente, nuovi introiti per il nostro sistema pensionistico.