Quando avevo tredici anni ero anarchico e me lo dicevo per convincermi. A tredici anni e’ inutile, ineluttabile, te lo dicono e, quasi quasi ci credi, che non capisci niente e quasi quasi sei convinto di non sapere come funziona il mondo e allora devi lavorare su te stesso.
Frequentavo un partito politico, senza nemmeno avere l’età per farlo, nel cuore di Perugia, la mia città, era grandioso sapere che avrei contribuito a rendere migliore il futuro se non del mondo, almeno del mio Paese.
Gli adulti ed i ragazzi che lo frequentavano erano numerosi ma noi ragazzini eravamo quattro gatti, poi alcuni sono diventati sindaci, presidenti di regione, parlamentari.
Ora quel partito non esiste nemmeno più, in quel vecchio palazzo ci si sono insediati tanti professionisti, la destinazione d’uso è cambiata, come la politica.
A tredici anni pensavo che la guerra fosse un crimine dei governi e dei generali contro i popoli.
A tredici anni pensavo e cantavo Generale di De Gregori e ero convinto che la guerra servisse solo a distruggere le città, ad uccidere i bambini, le donne, i vecchi, gli uomini, a costringerli nella paura, negli stenti e a lasciare devastazione e miseria e poi, però, a far ricchi i trafficanti di armi e gli speculatori.
A tredici anni non sapevo nemmeno bene cosa fosse il nazionalismo ma ero convinto che fosse qualcosa che giustificasse la prevaricazione e la oppressione di popoli che invece avrebbero potuto vivere in pace ed armonia.
A tredici anni avevo attraversato già tante frontiere e sapevo che presto sarebbero cadute, avevo letto Capitini ed altri che lo predicevano. Ci speravo con la convinzione che solo l’ incoscienza positiva giovanile rende possibile, ma poi è successo veramente.
A tredici anni pensavo che quelli come Pinochet, che mettono in galera gli oppositori, si chiamassero tiranni e che andrebbero avversati e combattuti. Ce ne sono anche adesso di questi tiranni e vanno avversati e combattuti.
A tredici anni se mi avessero detto che il Patto di Varsavia sarebbe scomparso, non ci avrei creduto ma quella ipotesi mi era venuta in mente e ne avevamo parlato tra compagni di come sarebbe stato bello senza più bisogno di armi, missili, nemici da cui proteggersi o meglio, senza la scusa di doverlo fare.
A tredici anni avevo visto un cappellano militare benedire fucile e cannoni e avevo pensato che non era affatto giusto. Invece avevo conosciuto un pretino di periferia che malediva la guerra e mi piaceva sapere che non tutti i preti sono uguali.
A tredici anni imparavo dai miei compagni e dai più grandi come fosse importante manifestare il dissenso che poi da lì a un paio d’anni avrei messo in pratica scendendo per strada nelle manifestazioni e salendo sui palchi per parlare a piazze piene di persone che stranamente ascoltavano ed applaudivano.
A tredici anni ero ottimista e sicuro che sarebbe andata meglio per tutti, non come i ragazzi di oggi ai quali abbiamo spezzato sogni e futuro e, non contenti, li manganelliamo se dissentono e manifestano la loro rabbia per il nostro egoismo.
Non penso che a tredici anni io sia stato migliore di adesso, ma il dubbio rimane, anche per non essere riuscito a cambiare il mondo e soprattutto per non riuscire, ancora, a dare una speranza a chi magari lo vorrebbe cambiare. E’ il loro turno.