Siamo in un’epoca di divisioni nette, dove il progressismo, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, sembra essersi rifugiato in un mondo di superficialità patinata, di slogan inclusivi e di risposte decorative che però non affondano le mani nei veri problemi che tormentano le persone. Da una parte, il populismo cavalca la rabbia sociale, offrendo risposte veloci, a volte troppo semplici, ma che sembrano più vere per chi si sente tagliato fuori dal gioco delle istituzioni. Dall’altra, il linguaggio progressista appare sempre più scollegato dalla realtà, incastrato in un’aura di superiorità culturale e di brillantezza da copertina, incapace però di parlare davvero a chi vive quel disagio esistenziale che ormai trapassa ogni strato della nostra società.

**La Stanchezza di un Sistema che Non Ascolta**

Questa crisi non è solo economica; è una crisi di senso, un vuoto profondo che si fa largo anche dove il benessere materiale, almeno sulla carta, sembrerebbe a portata di mano. Il disagio di molti non è fatto solo di redditi bassi o di precarietà, ma è una fatica più profonda, culturale e identitaria. Le persone si sentono numeri persi in statistiche che non raccontano nessuna storia. E, in questo clima, le risposte “fighette” del progressismo, impacchettate in un’immagine impeccabile, sembrano solo peggiorare le cose, allontanando ancora di più chi dovrebbe sentirsi rappresentato.

**La Patina che Copre le Contraddizioni**

Negli ultimi anni, il progressismo ha fatto l’errore di contare sull’ovvietà della rozzezza dell’avversario come propria arma vincente. Sembrava che bastasse farsi belli e circondarsi di star e sorrisi per incarnare la risposta evoluta e illuminata alle rozzezze del populismo. Ma questa strategia non considera la stanchezza collettiva, la saturazione emotiva di chi non cerca glitter o status, ma risposte concrete, che poggino sui problemi veri. Questa superficialità ha un costo altissimo: molti percepiscono in certe élite progressiste un disgusto verso chi vive fuori dai circoli intellettuali, come se il malessere “vero” fosse un fastidio da nascondere sotto strati di paillettes e retorica inclusiva.

E in questa percezione, la disillusione scava il suo solco e apre la strada al populismo, che sa sembrare più onesto proprio perché si mostra grezzo e senza filtri. Il populismo promette autenticità, per quanto brutale, a chi si sente escluso. Ma non è che questo sembrare “alla mano” sia un caso: è il prezzo che paga un progressismo che preferisce sembrare giusto piuttosto che esserlo.

**La Sfida della Verità in un Mondo di Disinformazione**

C’è una verità scomoda in tutto questo: quando le risposte sembrano false, la disinformazione diventa un richiamo irresistibile. Non è solo un attacco esterno, ma una forma di ribellione di chi si sente continuamente preso in giro. Il populismo, con tutte le sue distorsioni, appare più sincero perché si presenta senza troppi fronzoli. Il progressismo, nel tentativo di conservare un’immagine impeccabile, finisce per apparire disonesto, e la “raffinatezza ipocrita” non è più vista come superiorità morale, ma come un modo per fuggire dai problemi veri.

**Ricostruire il Progresso: Verso una Politica di Sostanza**

Se c’è una lezione da trarre da questa crisi, è che il progressismo deve abbandonare il proprio rifugio estetico e tornare alla sostanza vera. E ci vuole coraggio, perché significa ammettere i propri errori, riconoscere che i problemi non possono essere mascherati con un po’ di inclusività o di superiorità morale. La vera sfida è ristabilire un contatto con la realtà: non solo con i numeri, ma con le persone, le loro paure, le loro speranze, il loro bisogno di appartenere a qualcosa.

Il punto è che molte delle strutture economiche su cui si fonda il nostro sistema – a partire dal capitalismo globale – non rispondono più a questo bisogno di stabilità e significato. Difendere un modello che produce precarietà, tanto materiale quanto esistenziale, significa scavarsi la fossa da soli. Serve, invece, il coraggio di ripensare tutto, di immaginare un futuro che sia davvero inclusivo, e non solo per una piccola élite.

**La Ricostruzione della Fiducia e il Senso di Appartenenza**

Alla fine, le persone vogliono sentirsi parte di qualcosa di autentico, che dia loro valore, che non li guardi dall’alto al basso. Il populismo, per quanto problematico, riesce a creare un senso di comunità, di “noi contro loro,” che fa sentire inclusi anche gli esclusi dalla narrazione progressista. Ricostruire il progressismo significa imparare a unire senza dividere, a proporre un’identità politica che non sia solo immagine e slogan, ma che crei veri ponti tra persone e comunità.

**Una Politica per il Futuro**

Forse, il tempo per fare tutto questo è già finito. La fiducia è una risorsa fragile e, una volta persa, è difficile da recuperare. Ma la strada è necessaria: costruire un’idea di progresso che sia davvero di tutti, un progetto condiviso che risponda al bisogno di senso, di appartenenza, di stabilità. Un progetto che abbandoni finalmente la superficialità e si immerga nella realtà, offrendo una visione di futuro che non sia una spruzzata di lucentezza o una sfilata di bei pensieri, ma una vera prospettiva di cambiamento, capace di dare speranza anche a chi ormai non ha più nulla da perdere.