Nel XXI secolo, il potere si è allontanato dalle strutture democratiche per annidarsi nelle tecnologie che gestiscono i flussi globali di risorse, informazioni e controllo sociale. Questo cambiamento non è un semplice fenomeno naturale, ma il risultato di una strategia delle élite tecnologiche per consolidare il loro dominio. Attori come Google, Amazon, Apple, Meta, e nuovi protagonisti come Starlink di Elon Musk, non sono semplici innovatori, ma veri e propri centri di potere che operano al di sopra delle istituzioni democratiche. Le Big Tech esercitano un potere che va ben oltre l’ambito commerciale. Google, attraverso il suo monopolio sulla ricerca, può orientare le informazioni a cui le persone accedono. Amazon non è più solo un rivenditore, ma controlla l’intera catena logistica mondiale, dettando regole a fornitori, lavoratori e persino interi settori industriali. Meta, con i suoi social network, manipola le percezioni sociali, spesso senza alcun meccanismo di trasparenza o di responsabilità. Questi colossi si sono autoproclamati regolatori globali, con il pretesto di migliorare l’esperienza degli utenti. Tuttavia, dietro algoritmi che sembrano neutrali si nascondono priorità aziendali che manipolano i consumi, la cultura e la politica. Anche Starlink non è esente da queste dinamiche. Con una rete di migliaia di satelliti, SpaceX sta costruendo una nuova infrastruttura di comunicazione globale. Sotto l’apparenza del miglioramento dell’accesso a Internet nelle aree remote, Starlink acquisisce un controllo strategico su una rete essenziale, potenzialmente bypassando le sovranità nazionali. L’intelligenza artificiale, presentata come una promessa di progresso, è in realtà un formidabile strumento di potere. I sistemi di AI vengono utilizzati per analizzare, prevedere e controllare i comportamenti umani in modi sempre più invasivi. I modelli di linguaggio come quelli di OpenAI o Google DeepMind non solo creano contenuti, ma influenzano il modo in cui pensiamo e comunichiamo. Le decisioni chiave sulla diffusione e l’uso di queste tecnologie sono concentrate nelle mani di poche aziende, senza una supervisione democratica. Le AI non sono imparziali: sono progettate per servire interessi economici privati, spesso a discapito dei diritti e delle libertà degli individui. Questo nuovo ordine tecnologico è una forma di imperialismo digitale. Le aziende tecnologiche non riconoscono confini né regolamenti nazionali: impongono le loro regole globalmente, aggirando le istituzioni locali. Gli Stati nazionali appaiono sempre più impotenti, incapaci di arginare l’influenza di questi attori, spesso perché dipendono dai loro servizi. La finta retorica della “connessione globale” nasconde una realtà in cui pochi oligarchi tecnologici governano le infrastrutture fondamentali del pianeta. A chi rendono conto? Di certo non ai cittadini. Mentre i governi si concentrano su dispute interne o strategie elettorali obsolete, il vero potere scivola via dalle loro mani. Le decisioni critiche – chi può accedere all’informazione, quali dati vengono raccolti e come vengono utilizzati – vengono prese da pochi dirigenti aziendali, senza alcun meccanismo di responsabilità. Questo rappresenta una pericolosa minaccia alla democrazia. Se le piattaforme tecnologiche continuano a esercitare un controllo incontrastato, il diritto dei cittadini di partecipare ai processi decisionali diventerà sempre più una farsa. Il potere oggi non passa più dalle urne, ma dalle tecnologie che regolano il mondo. Le piattaforme digitali, come Google, Amazon, Meta, Starlink e i creatori di AI, stanno consolidando una dittatura tecnologica mascherata da progresso. Se non ci sarà una presa di coscienza collettiva e una regolamentazione efficace, rischiamo di consegnare il nostro futuro a una nuova aristocrazia digitale, capace di plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza. La domanda non è più se la tecnologia ci migliorerà, ma chi avrà il diritto di decidere cosa sia il progresso.