Il recente documento “Nuove Indicazioni 2025 - Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione - Materiali per il dibattito pubblico” diffuso dal Ministero dell’Istruzione rappresenta un’opportunità importante per riflettere criticamente sul modo in cui diverse discipline vengono concepite e insegnate alle nuove generazioni. In questa analisi ci concentreremo specificamente sulla sezione dedicata all’insegnamento della storia (pagine 68-77 del documento), che presenta alcune problematiche sostanziali meritevoli di discussione, soprattutto in questa fase in cui il documento è ancora oggetto di dibattito pubblico.
Eurocentrismo e visione riduttiva delle culture non occidentali
Il documento si apre con un’affermazione tanto perentoria quanto discutibile: “Solo l’Occidente conosce la Storia”. Prosegue sostenendo che altre culture e civiltà avrebbero conosciuto “qualcosa che alla storia vagamente assomiglia, come compilazioni annalistiche”, ma che questi tentativi sarebbero rimasti allo stato embrionale, “ripiegando su se stessi e non dando vita ad alcuno sviluppo”.
Questa visione profondamente eurocentrica ignora le ricche e complesse tradizioni storiografiche sviluppate da numerose civiltà nel corso dei millenni. La Cina, ad esempio, vanta una tradizione di scrittura storica che risale ad almeno 2000 anni fa, con opere come le “Memorie Storiche” di Sima Qian (II-I secolo a.C.), che non si limitano a registrare eventi, ma analizzano cause, conseguenze e offrono interpretazioni critiche. Nel mondo islamico medievale, pensatori come Ibn Khaldun svilupparono sofisticate teorie della storia che anticiparono molti concetti della moderna storiografia scientifica.
Ridurre queste tradizioni intellettuali a “compilazioni annalistiche” non solo è storicamente inaccurato, ma perpetua pregiudizi culturali che dovrebbero essere superati, non rafforzati, in un documento destinato a formare la visione educativa del paese.
La narrativa senza metodo: il rischio della propaganda
Un secondo aspetto problematico riguarda l’approccio metodologico proposto per l’insegnamento della storia. Il documento privilegia esplicitamente la dimensione narrativa rispetto all’acquisizione di competenze metodologiche, affermando che è “del tutto irrealistico” l’obiettivo di “formare ragazzi (o perfino bambini!) capaci di leggere e interpretare le fonti, per poi valutarle criticamente”.
Invece, si suggerisce un insegnamento basato sul “coinvolgimento anche emotivo e sentimentale dei giovani allievi”, con l’uso di “episodi particolari anche aneddotici”. L’insegnante è incoraggiato a “non avere timore di ricorrere nella sua esposizione al coinvolgimento emotivo”.
Sebbene la narrazione sia indubbiamente un potente strumento didattico, un approccio che marginalizza l’educazione al metodo critico rischia di trasformare l’insegnamento della storia in qualcosa che assomiglia più alla propaganda che a una disciplina basata su un metodo rigoroso di indagine. La storia non è solo il racconto di “ciò che è successo”, ma anche e soprattutto un metodo per indagare criticamente il passato, valutare le fonti, confrontare le interpretazioni.
È significativo che, mentre si descrive dettagliatamente cosa gli studenti dovrebbero sapere (eventi, date, personaggi), si dedichi poco spazio a cosa dovrebbero saper fare: analizzare documenti, confrontare versioni diverse dello stesso evento, riconoscere bias e prospettive nella narrazione storica.
La storia come identità: tra conoscenza e metodo critico
Il documento individua come uno degli obiettivi primari dell’insegnamento della storia quello di “far maturare nell’alunno la consapevolezza della propria identità di persona e di cittadino”. Questa finalità identitaria, sebbene legittima, diventa problematica quando si combina con una visione della storia che privilegia la narrazione predefinita rispetto all’indagine critica.
La storia, come disciplina che applica metodi rigorosi di indagine, non dovrebbe essere primariamente uno strumento di costruzione identitaria, ma un approccio metodologico per comprendere criticamente il passato in tutta la sua complessità. Quando l’identità prevale sull’analisi critica, si rischia di selezionare e presentare gli eventi in modo funzionale a una narrazione predeterminata, piuttosto che lasciar emergere la complessità e le contraddizioni del passato.
Educare al pensiero critico nell’era della disinformazione
In un’epoca caratterizzata dalla proliferazione di fake news e dalla facilità di accesso a informazioni non verificate, risulta particolarmente sorprendente e preoccupante la scelta di marginalizzare l’educazione al metodo critico nell’insegnamento della storia. Proprio quando i nostri giovani avrebbero più bisogno di strumenti per valutare l’attendibilità delle fonti, distinguere i fatti dalle opinioni e riconoscere le narrazioni tendenziose, il documento ministeriale considera “del tutto irrealistico” formarli alla lettura critica delle fonti.
La storia, con il suo metodo di analisi documentaria, confronto delle testimonianze e valutazione critica delle interpretazioni, rappresenta invece un laboratorio ideale per sviluppare quelle competenze di information literacy che sono essenziali per orientarsi nella complessa infosfera contemporanea. Insegnare ai bambini, fin dalla scuola primaria, ad approcciarsi alle fonti con curiosità ma anche con sano scetticismo, a confrontare versioni diverse dello stesso evento, a chiedersi “chi ha scritto questo documento e con quale scopo?”, significa formare cittadini capaci di resistere alle manipolazioni mediatiche e politiche.
Relegare l’insegnamento della storia a mera narrazione, privandolo della sua dimensione metodologica e critica, significa perdere una preziosa opportunità per educare le nuove generazioni alla complessità, al dubbio, al valore dell’indagine rigorosa - tutti anticorpi essenziali contro la disinformazione dilagante.
Per un dibattito aperto e costruttivo
Le “Nuove Indicazioni 2025” rappresentano ancora un documento in fase di discussione pubblica, e proprio per questo è importante che la comunità educativa, accademica e civile si confronti apertamente sui suoi contenuti e implicazioni.
Conclusioni
La sezione dedicata alla storia nel documento ministeriale “Nuove Indicazioni 2025” contiene elementi che appaiono in contraddizione con le esigenze educative contemporanee e con una visione moderna e inclusiva della disciplina storica. Mentre altre parti del documento potrebbero offrire spunti innovativi e validi per altre discipline, le indicazioni sull’insegnamento della storia meritano una profonda revisione.
In un contesto globale caratterizzato dalla molteplicità di narrazioni e dalla necessità di strumenti critici per decifrare la complessità, proporre un approccio alla storia basato su una visione eurocentrica e su un modello pedagogico che marginalizza il metodo critico a favore della narrazione significa non cogliere un’opportunità fondamentale per la formazione di cittadini consapevoli.
Il dibattito pubblico su queste nuove indicazioni ministeriali rappresenta una preziosa occasione per ripensare non solo i contenuti dell’insegnamento storico, ma anche i suoi metodi e finalità. L’auspicio è che da questo confronto possa emergere una visione dell’educazione storica che coniughi il necessario rigore metodologico con la capacità di coinvolgere e appassionare le nuove generazioni, preparandole ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo con strumenti critici adeguati.