La riconquista degli spazi collettivi rappresenta oggi una necessità imprescindibile, radicata in una tradizione di pensiero che attraversa la storia italiana del Novecento. Il Manifesto di Ventotene, redatto da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi durante il loro confino sull’isola negli anni ‘40, poneva già allora una questione fondamentale: la limitazione della proprietà privata come elemento essenziale per costruire una società più equa.
Nel Manifesto, si delinea una visione che supera l’assolutismo proprietario a favore di una concezione funzionale della proprietà, subordinata all’interesse collettivo. Questa impostazione ha trovato poi concreta espressione nella Costituzione italiana, in particolare nell’articolo 42, che riconosce e garantisce la proprietà privata ma ne afferma contemporaneamente la funzione sociale.
La rilettura di questi principi risulta oggi quanto mai attuale. In un’epoca di crescente privatizzazione degli spazi urbani e di concentrazione della ricchezza, riscoprire il pensiero federalista europeo e costituzionale italiano significa riaffermare che gli spazi, fisici e simbolici, non possono essere considerati merce ma beni comuni da gestire nell’interesse di tutti.
La riconquista degli spazi diventa così non solo un’esigenza pratica ma un imperativo etico-politico, che ci riporta alle radici del pensiero democratico italiano ed europeo, suggerendoci che una società veramente libera è quella in cui l’accesso ai beni essenziali è garantito a tutti i cittadini.
Ciò che oggi potrebbe apparire come utopia, in passato è stato realtà concreta. La nazionalizzazione dell’energia elettrica del 1962, con la nascita dell’ENEL, rappresenta forse l’esempio più emblematico di come la limitazione della proprietà privata, quando orientata al bene collettivo, possa trasformare radicalmente la società. Prima di quel momento, l’elettricità era un privilegio gestito da monopoli privati che lasciavano intere aree del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, nell’oscurità. Dopo la nazionalizzazione, la luce divenne un diritto per tutti gli italiani, permettendo uno sviluppo economico e sociale senza precedenti.
Analogamente, l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978 ha sancito che la salute non poteva più essere una merce accessibile solo a chi poteva permettersela, ma un diritto universale garantito dallo Stato. Prima della riforma, milioni di italiani non avevano accesso alle cure mediche; dopo, la sanità pubblica italiana è diventata un modello di efficienza ed equità riconosciuto a livello mondiale.
Questi esempi ci ricordano che quando parliamo di limitazione della proprietà privata non evochiamo fantasmi ideologici, ma concrete esperienze storiche che hanno migliorato la vita di generazioni di italiani. In un’epoca in cui si tende a dimenticare la lezione del passato, vale la pena ricordare che la luce nelle nostre case e la salute dei nostri corpi sono il frutto di scelte coraggiose che hanno anteposto il bene comune al profitto privato. Come recita un vecchio adagio: “Quando il mercato spegne le luci, è lo Stato che deve accenderle per tutti.”